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La battaglia del Monte San Martino

Durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo l'8 settembre 1943, nelle fortificazioni del San Martino si costituì una delle prime formazioni partigiane lombarde agli ordini del Ten. Col. Carlo Croce.

Il percorso della formazione "Cinque Giornate " iniziò l'8 settembre 1943 a Portovaltravaglia. I fatti accaduti in quei giorni nel Presidio, di cui si avevano frammentarie notizie, sono stati rievocati dal tenente Germano Bodo, aiutante maggiore del col. Carlo Croce in una memoria, stesa nel 1968, che avrebbe dovuto completare la testimonianza del Capitano Enrico Campodonico pubblicata nel 1949 e riproposta a cura della Provincia di Varese nel 1980.

La notizia dell'armistizio giunse nel Presidio, collocato nella requisita Vetreria Lucchini, la sera dell'8 settembre attraverso alcuni ufficiali che avevano avuto modo di ascoltare, in un albergo di Portovaltravaglia via radio, il comunicato. Lo sconcerto fu grande allorché si constatò che nessun comando superiore si era premurato di trasmetterlo telefonicamente alle varie caserme. Il ten.col Croce, ufficiale di complemento dei Bersaglieri, comandante di due battaglioni di reclute dell'aviazione da addestrare alla difesa dei campi di aviazione e di una trentina di soldati del 7° Reggimento Fanteria, si rese immediatamente conto che il proclama di Badoglio avrebbe avuto come conseguenza l'immediata occupazione tedesca del territorio italiano. L'arrivo dei tedeschi riportò alla mente del Col.Croce la drammatica esperienza vissuta in Russia dove, avendo conosciuto l' efferatezza nazista-tremo di sdegno per quel che vedo e quel che sento- maturò la determinazione di schierarsi contro un nemico che definiva un barbaro ignobile.

La sua prima decisione fu quella di presidiare, con i soldati, tutte le vie di accesso alla zona di Portovaltravaglia e di prendere contatti con i reparti militari dislocati a Luino e Laveno. La riunione del 9 settembre al Comando di Varese si concluse con nulla di fatto. Il Presidio non disponeva né di armi né di munizioni, per cui bisognava venirne in possesso il più presto possibile. Da Varese riuscì ad ottenere 10.000 colpi sciolti per fucile e si procurò alcune armi e qualche automezzo attraverso le requisizioni effettuate ai militari di passaggio che stavano fuggendo in Svizzera. Fino al 10 settembre sera i soldati rimasero compatti con il loro comandante poi, a causa delle sollecitazioni esterne, della visione di sbandati in fuga verso la Confederazione, delle pressioni dei parenti arrivati dalle più disparate destinazioni, iniziarono a disertare. L'impossibilità di affrontare un nemico che si sapeva agguerrito e ben armato indusse il colonnello a prendere una decisione: trasferirsi sui monti di Dumenza per poter da dominare il sottostante territorio e, in caso di estremo pericolo, per avere la possibilità di sconfinare in Svizzera.

Non potendo contare sul trasporto con battello, attraverso il lago, di uomini e mezzi, Croce decise di partire a piedi senza darne preavviso al Comando di Varese che, venutone casualmente a conoscenza dopo un contatto telefonico con il Presidio, ordinò l'immediato rientro, pena severe sanzioni. Questo imprevisto causò il totale disorientamento dei soldati ed i reparti incominciarono a sfaldarsi. La notte tra l'11 e il 12 settembre un battaglione di bersaglieri ciclisti, in fuga verso il confine, abbandonò nei pressi del Presidio tutto ciò che aveva in dotazione: biciclette, moschetti e nove mitragliatrici Breda.

La mattina del 12 Croce, con un centinaio di uomini e con tutto il materiale che riuscì a trasportare, si trasferì a Roggiano e si acquartierò nelle postazioni militari costruite durante la Prima Guerra Mondiale in prossimità di Cascina Fiorini. In questo luogo si fermò per circa una settimana, nell'attesa di trovare una posizione idonea e difendibile. Incursioni nelle caserme abbandonate di Luino e Laveno consentirono un buon rifornimento di armi, munizioni e viveri che, caricati su autocarri militari e automezzi civili, furono trasferiti, il 19 settembre, a Vallalta di San Martino in Villa S.Giuseppe, ex Caserma "Luigi Cadorna", residenza estiva dell'Istituto Sordomute di Milano messa a disposizione degli undici militari rimasti: ten. col. Carlo Croce, ten.Germano Bodo, sottoten. Franco Rana, sottoten. Dino Cappellaro e sette soldati.

Il primo impegno fu dotarsi di un nome e di un motto: <<Esercito Italiano-Gruppo Militare "Cinque Giornate" Monte San Martino di Vallata Varese >> con "Non si è posto fango sul nostro volto." Nei giorni successivi si apportarono miglioramenti alla caserma, si rese impraticabile, con la realizzazione di un fossato e di uno sbarramento, l'imbocco della strada per Mesenzana, si ripristinarono le postazioni in caverna, si realizzarono nuove postazioni all'aperto per mitragliatrici e si avviarono tutte quelle attività richieste per la costituzione di una formazione militare nonché operazioni volte al recupero di materiale bellico e soprattutto di viveri. Il gruppo divenne ogni giorno più numeroso per il continuo affluire di militari italiani e di soldati dei comandi alleati fuggiti dai campi di prigionia fino a raggiungere, ad ottobre, la consistenza di 150 unità. A questo punto fu necessario suddividere il gruppo in tre compagnie di circa 50 uomini ciascuna agli ordini di un ufficiale: il ten. Carlo Hauss per la Compagnia Comando da situarsi presso il "Forte", il ten. Giorgio Wabre per la Prima Compagnia nelle gallerie basse e il capitano Enrico Campodonico per la Seconda Compagnia nella Villa S.Giuseppe. Furono, inoltre, nominati aiutante maggiore del colonnello Croce il ten.Germano Bodo e cappellano della formazione don Mario Limonta.Gli uomini del San Martino furono validamente sostenuti dai membri del Comitato Nazionale di Liberazione di Varese che condivisero con loro non solo le idealità, ma anche la concreta volontà di combattere l'occupante e l'oppressore e le loro ideologie. Il sogno di tutti era fare dell'Italia un paese libero e democratico, degno di rispetto e di considerazione. Tra loro ricordiamo Antonio De Bortoli, Silvio Bracchetti, Luigi Ronza, Giacinto De Grandi. Importante si rivelò anche la collaborazione di buona parte del clero locale e della popolazione dei paesi adiacenti al San Martino.

L'azione partigiana che sembrava, inizialmente, non suscitare nei tedeschi eccessive preoccupazioni, indusse i nazifascisti ad avviare da subito una capillare rete di spionaggio che esplicò la propria azione di controllo attraverso sedicenti partigiani che si presentavano al colonnello Giustizia, nome di battaglia del col. Croce, per essere annessi al gruppo e che, dopo qualche giorno, sparivano o anche attraverso le persone che abitavano nei luoghi di frequentazione partigiana, disposte a collaborare per condivisione dell'ideologia o, più spesso, per un riscontro economico. Ai primi di novembre i comandi tedeschi dimostrarono di possedere precise informazioni circa i componenti del gruppo, le loro abitudini, la provenienza dei rifornimenti, la dotazione di armi, l'ubicazione delle fortificazioni e gli appostamenti delle sentinelle. Non furono le azioni militari a Mesenzana e al Casone, tra Cassano Valcuvia e Rancio, non autorizzate dal col. Croce che causarono morti e feriti tra i tedeschi, a scatenare la repressione nazifascista, ma il timore che l'avvicinarsi dell'inverno e l' ingrossarsi delle fila partigiane avrebbero potuto costituire un serio pericolo, soprattutto in vista dell'arrivo degli eserciti anglo-americani.

La consapevolezza che lo scontro col nemico sarebbe stato oramai inevitabile rese il colonnello Croce ancor più determinato nel rifiutare i suggerimenti del C.N.L di Varese di abbandono delle posizioni ritenute poco difendibili e il patteggiamento con gli emissari fascisti, messaggeri di proposte di resa. Una sola fu la sua risposta: <<Deporremo le armi solo quando i tedeschi avranno lasciato l'Italia e l'Italia sarà liberata dal fascismo>>.

I tedeschi, che dal 16 settembre presidiavano con la Guardia di Frontiera e con reparti delle SS il territorio dalla sponda orientale del Lago Maggiore allo Stelvio, con il compito di arrestare i soldati fuggiaschi e ostacolare la formazione di bande ribelli, andarono consolidando nel Varesotto la loro presenza con l'arrivo, il primo novembre, di una compagnia di Polizia di montagna. Il 4 e l'11 novembre parteciparono alle riunioni con il Prefetto di Varese per preparare il progetto di lotta contro i partigiani del San Martino.

Il 13 Novembre i giornali svizzeri comunicarono che, attraverso la radio tedesca, era stato diramato lo stato di assedio in tutta la Lombardia e che gli esercizi pubblici, ad eccezione dei ristoranti, sarebbero rimasti chiusi fino al 21 novembre. Furono sospese anche le pubblicazioni dei giornali. Con l'insediamento a Rancio Valcuvia il 14 novembre 1943 del comando tedesco del 15° Reggimento di Polizia agli ordini del ten. col. Von Braunschweig e l'arrivo di uomini della Guardia di Frontiera, di pattuglie di artiglieri, della Milizia fascista e dei Carabinieri, si diede inizio alla feroce repressione partigiana che ebbe il suo epilogo nella battaglia del 15 novembre. Nei paesi posti alle pendici della montagna furono rastrellati, il 14 novembre, tutti gli uomini dai 15 ai 65 anni e rinchiusi negli edifici pubblici o nelle chiese. A Rancio i tedeschi concentrarono un numero considerevole di uomini, considerati partigiani o collaboratori dei partigiani, che subiranno durissimi interrogatori unitamente a sevizie e torture. La raccapricciante testimonianza delle tre donne, Augusta Lazzarini, Redegonda Lazzarini Boldrini, Anna Vagliani, rastrellate all'alpe di San Michele e costrette a ripulire i locali delle torture, fece comprendere quanto tremenda e bestiale fu la ferocia nazista. Tutte le persone rastrellate vennero, poi, liberate nelle giornate del 17 e 18 novembre.

A gruppi mobili dei partigiani Croce affidò il compito di disturbare l'arrivo delle pattuglie nemiche e alla compagine di 10 uomini, agli ordini del ten. Alfio Manciagli, appostata sulla vetta al San Martino, di rallentare l'avanzata delle formazioni nemiche provenienti da Arcumeggia e dirette verso le postazioni di Vallalta. Gli uomini della Seconda Compagnia posizionarono le loro armi attorno alla ex caserma in direzione della strada Duno-San Martino, quelli della Compagnia Comando a difesa del "Forte" e dell'accesso da San Michele e quelli della Prima Compagnia a protezione della strada per Mesenzana. L'aviazione tedesca, con un fitto bombardamento, attuò un'incisiva azione distruttiva, rendendo la battaglia ancor più drammatica. A mezzogiorno le forze nemiche, dopo aver soverchiato i partigiani della vetta e averne fatti prigionieri sei, attaccò il resto della formazione partigiana con ogni tipo di armamento. Gli uomini della Seconda Compagnia, a corto di munizioni, furono costretti ad asserragliarsi nel Forte.

Parecchi ragazzi della Prima Compagnia, terrorizzati dalla ferocia della lotta, abbandonarono le loro postazioni in cerca di una via di fuga. Alcuni furono catturati dai tedeschi e fucilati, con tutti gli altri partigiani fatti prigionieri nel corso della battaglia, il giorno successivo, dopo interrogatori e sevizie di ogni genere.L'arrivo dell'oscurità costrinse i tedeschi a sospendere ogni azione, permettendo così ai partigiani di ricompattarsi e di organizzare la fuga verso la Svizzera che essi raggiunsero all'alba del 16 novembre.

I tedeschi, prima di partire per altre destinazioni, rasero al suolo l'ex caserma danneggiata dai bombardamenti e, per ragioni inspiegabili, la chiesetta di S. Martino.

Un certo numero di partigiani, tra cui anche il col. Carlo Croce, nei mesi successivi rientrò in Italia per continuare a prendere parte alla lotta di liberazione Alcuni, però, in seguito a delazioni, furono arrestati e deportati nei campi di sterminio. Il col. Croce, dopo un primo tentativo fallito, rientrò in Italia clandestinamente il 13 luglio 1944. Intercettato all'Alpe del Painale, nelle vicinanze di Sondrio, fu catturato dalla Milizia Confinaria. Durante il breve scontro a fuoco il colonnello riportò gravi ferite ad un braccio che gli fu amputato all'ospedale di Sondrio. Trasferito all'ospedale di Bergamo, presso il comando tedesco, morì il 24 luglio per le torture subite durante gli interrogatori effettuati dalle SS tedesche.

La battaglia del San Martino che viene ricordata da tutti gli storici come uno dei primi esempi di lotta partigiana, resta un episodio di grande significato morale e ideale di cui farne memoria.

Scomparsi gli ultimi testimoni della "Linea Cadorna" che quasi un secolo or sono contribuirono a fortificare queste zone di frontiera con la Svizzera, rarefatti ormai anche i protagonisti di quella che fu una delle prime battaglie partigiane in Italia, è proprio ai cittadini di domani che va affidato il compito di conservare le memorie scolpite su questo monte unitamente al ricco patrimonio ambientale.

La Provincia di Varese, proprio per far conoscere ai giovani il territorio in cui vivono attraverso la storia, le risorse e le potenzialità, di concerto con la Comunità Montana della Valcuvia ha organizzato nel corso dell'anno gite guidate sul San Martino per i ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori.